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lunedì 17 marzo 2014

Andy Warhol, essere é consumare per quindici minuti

Articolo apparso su http://azzurramagazine.wordpress.com/ 


"Non pensare di fare arte, tu falla e basta. Lascia che siano gli altri a decidere se é buona o cattiva, se gli piace o gli faccia schifo. Intanto, mentre gli altri sono li' a decidere tu fai ancora più arte".

Poche frasi, queste, per sintetizzare un percorso di vita e d'arte. Stiamo parlando del pensiero di Andy Warhol, gigante rivoluzionario dell'Arte del XX secolo, di cui il Palazzo Reale di Milano ha esposto pregiati pezzi fino al 9 di Marzo. É vero che Warhol é presente in tutti i più importanti musei del mondo, ma quella di Milano é stata, per cosi' dire, un'esposizione particolare. Infatti, le opere in mostra erano quelle appartenenti alla Brant Foundation, collezione di Peter Brant, intimo amico dell'artista e ventenne acquirente, nel 1967, della prima opera del padre della Pop Art: quel disegno che renderà la Campbell's soup emblema della società dei consumi e della riproduzione sempre eguale a se stessa. La mostra milanese si apre con una sala dove, con sapienti giochi di luce e musica, lo spettatore é immediatamente immerso nell'atmosfera della New York anni '60, con musica dei Velvet Underground, gruppo capitanato da Lou Reed, e immagini della Factory, atelier/fucina della Pop Art. Proseguendo, l'esposizione si dirama tra varie sale dove sono esposte le opere che rendono famoso il marchio Warhol nel mondo: dalle Campbell's soup ai ritratti serigrafati di Mao Tse-tung o di Liz Taylor, dai modelli di calzature femminili disegnati da Warhol, passando per le installazioni di recipienti Kellog's, alle riproduzioni del Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Ma perché una mostra su Warhol? Warhol é, oggi, più attuale che mai. Infatti, la democratizzazione dei consumi ci rende sempre più Pop, ovvero Popolari, attori del consumo sempre giocanti tra poli attrattivi e di repulsione. Oggi, tutto é Pop: il quotidiano é Pop, Mao é pop, mangiare un hamburger é Pop. La routine contemporanea, quindi, é arte? Nell'epoca Pop, si! Utilizzando una celebre espressione di Warhol, tutto é arte per quindici minuti, giusto il tempo, aggiungiamo noi, del colpo d'occhio, della fruizione, della digestione (dell'hamburger) e tutto torna nella norma. O no? Tuttavia, a ben vedere, no; infatti la società dei consumi é formata dalla somma di più quindici minuti. Immaginate voi stessi immersi in un turbine di pubblicità a led colorati, maxi schermi, negozi, gentili commessi e taxi veloci. Tutto questo dura quindici minuti...ma, terminati questi, già siamo polarizzati verso altra luce, verso altro vivido colore, rimangiamo un altro hambuger, acquistiamo altre calzature, tutto ritorna, ancora, per quindici minuti. Quindici minuti é, allora, il tempo di ogni opera d'arte Pop, della fama, dell'oggetto di consumo. La nostra società dura quindici minuti: siamo celebri per quindici minuti perché siamo consumatori Popolari. Quindi, la nostra esistenza é legata al consumo, in un dato tempo, di un prodotto? Nella società Pop, questo il messaggio di Warhol, parebbe di si'.

Marco Caccavo



Andy Warhol
Blue Shot Marilyn
1964
Collezione Brant Foundation
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA
© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2013


Andy Warhol
Campbell’s Soup Can (Chicken With Rice)
1962
Collezione Brant Foundation
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA
© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2013

lunedì 16 luglio 2012

Robert Combas, la fıgurazıone dello slancıo vıtale

Articolo apparso nel numero 210 di D'ARS


La parola retrospettiva dedicata ad un artista vivente potrebbe far storcere il naso, dopo averci lasciato immaginare un tranquillo ei fu creatore sonnecchiante su una sedia a dondolo. Definire un’esposizione una “retrospettiva” risulta ancor più inappropriato nel caso in cui l’artista si chiami Robert Combas. Quest’ultimo
é assoluta incarnazione del libertario fare in avanti proprio della Figuration Libre, movimento artistico di cui é stato attivissimo membro. In tal caso, sarebbe, secondo chi scrive, più pertinente il termine pro-spettiva, parola che trattiene, almeno per un momento, il combasiano anarchico vitalismo di cui parleremo a breve. Il Mac Lyon, museo d’arte contemporanea di Lione, ospita fino al 15 Luglio 2012 la prima retro-prospettiva (abbiamo infine trovato un compromesso!), dal titolo Greatest Hits, dedicata al suo illustre concittadino. L’artista, nato nel 1957, muove i primi passi nelle Accademie di Belle Arti di Sète e Montpellier per poi 

Sophie allongee etanthropomorphiee, 1997Collection SophieReynaud, Paris© Adagp, Paris, 2012

approdare, nel 1979, in quel gruppo di innovatori che daranno vita alla già citata Figuration libre. Questa corrente, nata sulla scia del Violent Painting tedesco, del Bad Painting americano e dell’italiana Transavanguardia, é stata essenzialmente una “rivendicazione di libertà” che, preferendo i graffiti della metropolitana di New York ai quadri del Guggenheim, si poneva in assoluto contrasto con l’arte concettuale predicante il significato a danno di quelle forme ormai familiari alla massa del viavai metropolitano, nuovo e fondamentale pubblico fruitore d’arte. Proprio sulla forma e sul contenuto tangibile visivamente da tutti si gioca l’immediatezza della pittura di Combas: i soggetti d’arte sono pop, come lo é una rumorosa banda di paese o una scena di vita urbana, i colori eccessivamente carichi, liberamente non armoniosi come irrequieta é l’energia entropica non contenibile in canoni, e il tratto marcato, quasi inciso, grosso e grossolano come lo schizzo di un bambino che scarabocchia il proprio papà o gli eroi dei fumetti. Il messaggio, tutto da interpretare nell’arte concettuale, é per Combas presentato, o meglio “proposto”, chiaramente nell’opera. Non c’é rivelazione, non c’é evento, l’oggetto di comunicazione é qui e, qualora fosse di difficile ricezione, é lo stesso artista ad aggiungere parole didascaliche, alle volte sgrammaticate e frutto di vistose correzioni umorali, all’opera stessa, quasi a guidarci verso quel, e non altro, messaggio proposto. La mostra occupa i tre piani della struttura museale e cronologicamente presenta i primi esperimenti di un Combas, ideatore nel 1979 della rivista “Bato”, affascinato dalle icone su carta del Novecento come Tintin, Tom e Jerry e Topolino che non sono proprietà esclusiva dei loro creatori, ma appartengono a tutti, essendo stati espropriati gioiosamente ed eletti ad archetipo della festosa civiltà dei consumi. L’esposizione, in seguito, si snoda nei meandri di un personale cammino esistenziale tra donne amate, dinamiche rappresentazioni di
battaglie storiche dai tratti comico-grotteschi e più recenti opere d’argomento sacro come L’archange del 1995 o la Vierge nouvelle del 2009. Il vortice creativo dell’artista é di natura anarchico-democratica e si lascia permeare contemporaneamente dall’influenza propositiva delle basse insegne dei negozi africani e orientali di Parigi, ispiratori dal 1977 del cosiddetto periodo del Pop Arabe, sorta di Pop art dei paesi sottosviluppati, e dagli alti classici dell’arte, poi rivisitati come nel caso de Les tournesols de vent Combas del 1990, chiaro tributo ai girasoli di van Gogh. Nel mondo di Combas non c’é fenomenologia interpretativa, non c’é noumeno, ma tutto si esaurisce nella proposta di fenomeno, manifestazione e comunicazione di una vita gridata e strimpellata, di un sentirsi esistente dove l’aggressività del colore e di una nota distorta dalla chitarra elettrica prendono il sopravvento sull’arte da museo incurante di concerti rock. Qui il sudore assume la tinta dei mille colori stroboscopici e le insegne dei quartieri popolari sono un balletto al neon colorato dalla pelle dei colori del mondo. La donna di Combas, lungi dall’essere angelo dalle membra posate sulle chiare, fresche e dolci acque, é totalmente materica, carnale, fautrice di gelosia e che si vorrebbe avere tutta per sé, a metro delle proprie debolezze come l’artista sembra suggerire in Sophie allongée et anthropomorphiée. Quest’opera immediatamente richiama alla memoria la Susanna e i vecchioni del Tintoretto in quanto a bellezza piena, adagiata nello sguardo di chi guarda, ma spiata in segreto, in entrambi i casi, al di là di quella

Les tournesols de ventCombas, 1990Collection GenevièveBoteilla, Paris.© Adagp, Paris, 2012


siepe che pare limitare i bordi di un’attrazione incontenibilmente troppo umana. Ed é proprio la rappresentazione dell’essere umano in questo tempo che in Combas si traduce in colore e figurazione. Il messaggio veicolato dall’arte combasiana é presto svelato e, allo stesso tempo, colorato dal fermento dell’esistenza: il suo umanesimo si traduce nella vita dinamica, pop-olare e rumorosa di una piazza di periferia, di un bar affollato e nella personale playlist musicale dell’artista trasmessa dagli altoparlanti del museo. Greatest hits é una retro-prospettiva della vita pulsante nelle vene del Combas musicista/performer del gruppo dei Sans pattes e di chi salta e si agita durante un concerto, finalmente libero di colorare come meglio vuole questo mondo dove le forme, e la figurazione delle stesse, sono solo i tratti dei corpi che contengono l’immenso slancio dell’essere uomo che in ogni istante ci martella con quel Run, Run, Run dei warholiani Velvet Underground.



Mickey appartient atout le monde1978-1979Collection du CentrePompidou, Mnam / Cci, Paris© Adagp, Paris, 2012