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sabato 19 luglio 2014

Celebro l'uomo che arranca cercando il suo avanzare

Celebro l'uomo che arranca cercando il suo avanzare.
Esalto il dubbio, 
la lacrima che scende preziosa, alla sera.
Lodo l'incertezza e l'argilla difforme. 
Amo il punto sospeso, quello esclamativo; 
detesto il punto fermo, ma adoro l'interrogativo.

martedì 10 giugno 2014

Non darmi sogni

Sonno soave, il tuo suggello nero sopra l'aride palpebre m'imprimi. Sosta a lungo su me, tu che sopprimi tedio di vita e male di pensiero.
Fasciami di torpor, se il tuo mistero non ha asprezza d'aneliti che limi, se i più dolenti s'inabissan primi nel nulla d'un morire passeggiero.
Non darmi sogni; lasciami in letargo giacer, con le tue dita sui miei cigli, sotto il tepor del tuo mantello largo.
Se puoi, le dita sui miei occhi tieni fin che il Signore mio giunga e bisbigli al mio orecchio: – È l'aurora. Alzati e vieni!

Amalia Guglielminetti, Le vergini folli 



mercoledì 14 maggio 2014

Perché taccia. Ugo Foscolo






Voce recitante di Marco Caccavo 

http://marco-caccavo.blogspot.fr/ 

Perché taccia il rumor di mia catena
di lagrime, di speme, e di amor vivo,
e di silenzio; ché pietà mi affrena
se di lei parlo, o di lei penso e scrivo.

Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
ove ogni notte amor seco mi mena,
qui affido il pianto e i miei danni descrivo,
qui tutta verso del dolor la piena.

E narro come i grandi occhi ridenti
arsero d'immortal raggio il mio core,
come la rosea bocca, e i rilucenti

odorati capelli, ed il candore
delle divine membra, e i cari accenti
m'insegnarono alfin pianger d'amore.

sabato 12 aprile 2014

Saffo

Afrodite, trono adorno, immortale, figlia di Zeus, che le reti intessi, ti prego: l'animo non piegarmi, o signora, con tormenti e affanni. 
Vieni qui: come altre volte, udendo la mia voce di lontano, mi esaudisti; e lasciata la casa d'oro del padre venisti, aggiogato il carro. 
Belli e veloci passeri ti conducevano, intorno alla terra nera, con battito fitto di ali, dal cielo attraverso l'aere. 
E presto giunsero. 
Tu, beata, sorridevi nel tuo volto immortale e mi chiedevi del mio nuovo soffrire: perché di nuovo ti invocavo: cosa mai desideravo che avvenisse al mio animo folle. "Chi di nuovo devo persuadere a rispondere al tuo amore? Chi è ingiusto verso te, Saffo? 

***

Un esercito di cavalieri, dicono alcuni, altri di fanti, altri di navi, sia sulla terra nera la cosa più bella: io dico, ciò che si ama.
È facile far comprendere questo ad ognuno. 
Colei che in bellezza fu superiore a tutti i mortali, Elena, abbandonò il marito pur valoroso, e andò per mare a Troia; e non si ricordò della figlia né dei cari genitori; ma Cipride la travolse innamorata...
ora mi ha svegliato il ricordo di Anattoria che non è qui; 
ed io vorrei vedere il suo amabile portamento, 
lo splendore raggiante del suo viso più che i carri dei Lidi...

***

Simile a un dio mi sembra quell'uomo che siede davanti a te, e da vicino ti ascolta mentre tu parli con dolcezza e con incanto sorridi. 
E questo fa sobbalzare il mio cuore nel petto. 
Se appena ti vedo, sùbito non posso più parlare: la lingua si spezza: un fuoco leggero sotto la pelle mi corre: nulla vedo con gli occhi e le orecchie mi rombano: un sudore freddo mi pervade: un tremore tutta mi scuote: sono più verde dell'erba;
e poco lontana mi sento dall'essere morta. 

***

Squassa Eros l'animo mio, come il vento sui monti che investe le querce.

***

Sei giunta: hai fatto bene: io ti bramavo. All'animo mio, che brucia di passione, hai dato refrigerio

***

Saffo 






lunedì 24 marzo 2014

Ribelli

O benedetti siate voi, ribelli,
Che verso la salute e il vero
ritemprate le sorti dei fratelli.

[...]

Sono come una vigilia d'un duello... Ma senza lo chârme (sic) dell'onore e del coraggio, coinvolto in cose ignobili e buffe. Non so che sarà di me. Rido.
Addio.

Guido Gozzano

martedì 11 marzo 2014

Città vecchia, Umberto Saba (Fabrizio de Andrè)



Città vecchia
Umberto Saba 
 
(da Trieste e una donna, 1910-12)
 
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
 
Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
 
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
 
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
 
***

Fabrizio de André 

Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi,
una bimba canta la canzone antica della donnaccia
quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia.

E se alla sua età le difetterà la competenza
presto affinerà le capacità con l'esperienza
dove sono andati i tempi di una volta per Giunone
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione.

Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.

Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte.

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie.
Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.
Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai delapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione".

Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.

Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.











domenica 17 giugno 2012

"Cocci di disagio esistenziale", tre poesie di Agostino Colamaria




I cocci di disagio esistenziale sono frammenti di pensieri notturni, pensieri che sfuggono al volo razionale della civetta d'Atena e che, per acquisire ontologia, devono dichiararsi su carta. Questa serie di tre poesie, proposte da Agostino Colamaria, esprimono questo senso altro, questo scostarsi dalla via illuminata alla ricerca del lumicino che svela l'umana condizione. Il mescolare la brevità frammentata del verso con un linguaggio talvolta ricercato, altro ed intimo, rendono, infine, l'immagine di una coscienza costretta nel quotidiano che si risveglia e canta quando la civetta tace.
Buona lettura.


Trasfiguro
in quel che già sono
per ingannare le ore
che mi tengono saldo
a un’ indolente sospensione.
Giorni, ore, vite
tutto quel che già so
s’imprime sfuggente come marchio
di un’inevitabile ignoranza.
Aspetto un rivolo d’aria;
spezzo in più e più
il circolo di eterne questioni.
Solo un silenzio
risponde a domande taciute,
sereno in quel che già so
un passo oltre la morte.


“Sono io il poeta”

E’ di questa natura
descrivere storie
e narrare cose
con la parola acerba
più che un frutto
ammantato di vernice.
Relegare memorie
Disunire la logica,
di questa materia
è fatto il pane
che ogni dì alla bocca
si porta.
E come il presto
è vaniloquio
così nell’istante
il tempo crea
la sua lingua
di pietra.


Calpestando sudari
ho trascorso intere notti
a cercare la domanda
esatta a una risposta
già nota; mentre avvampava
la chioma funerea
che su me pesava come
il destino più opprimente
come un passo lungo
quanto il niente prolunga
il suo cammino verso
il sempre.
Così strozzai un rantolo
divoratore, guardando con occhi
di mollusco il filo intrecciato
delle mie esanimi parole
sbrindellate, a pezzi sparsi
come il morto mio cuore.

  






Civetta Su Grave, Caspar Friedrich,  Puskin Museum, Mosca, Russia