La
città, intreccio di strutture architettoniche ora regolari, ora
compenetrate le une nelle altre, ma anche abitato delle comuni
pulsioni sociali, é il locus,
luogo e placenta, del vivere in società. L'agglomerato urbano,
entità non meramente geografica, ma maggiore crocevia
dell'esistenza, offre una doppia sfaccettatura.
La
prima, d'immediata e sensuale fruzione, é la bellezza delle forme
regolari o confuse, frutto dell'ingegno e della contaminazione
culturale dell'artista dell'abitare; la seconda, di ragionato e più
intimo coglimento, contempla la pulsione spirituale nella quale la
materia abitata é immersa. Talvolta accade, in virtù di particolari
ed inaspettate disposizioni d'animo, d'esser permeati da sconosciuti
impulsi sensoriali che rendono sorprendente il fare
due passi in città.
Se il sopracitato stato permane, risulterà allora evidente la
dualità dell'idea stessa di città.
Quel
che si vede sarà rimando a ciò che é stato o che sarà, il
visibile diventerà invisibile e il di oggi cittadino avvertirà il
suo passaggio nell'urbano come un solco tracciato nel segno del
perpetuo viaggiare della razza umana. Ogni porto, sarà il suo porto,
ogni Cattedrale sarà la sua e ogni città parlerà la sua propria
lingua. D'altra parte, come potrebbe esserci differenza di linguaggio
nello stesso pulsare del cuore di due cittadini? In cosa potrebbe
differire l'aspirazione al vivere in comunità di un uomo da quella
di un altro suo simile?
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Alberto
de Gennaro coglie momenti di urbana condivisione che avvicinano
sorprendentemente l'Oriente all'Occidente, socialità che in città
ha occasione di raccogliersi ad ogni momento, avendo, per esempio,
il sacro come collante, come Barbara Rotella suggerisce. Ma la città
invisibile che é stata, ancora lo é nel presente, tramite la
traccia di un passaggio, momento, qui, fissato dal fotografare di
Felice de Stena e di Marco Buccione. La traccia, posta ai bordi delle
strade, intese come luogo del mercanteggiare e d'interazione sociale
nell'opera di Daniela Defazio, testimone sostanziale di quel che é
stato, é il tema indagato dalle poubelles
trouvées di Emine
Akbucak che fissa in uno scatto quel che ora é il superfluo, oggetto
e simbolo della dinamica d'uso propria dell'umano, di quella umanità
che sfugge e si dissolve nel momento stesso in cui é, icona della
fallacia catturata dagli scatti di Domenico Mortellaro e di Mariella
Soldo. In città, ogni abitante parla di sé e del suo vissuto,
l'unico linguaggio col quale si intendono i cittadini é quello del
vivere insieme e le notizie passano di bocca in bocca, da portone a
portone e ognuno legge di sé nell'altro in maniera orizzontale, come
suggerisce Francesco Ricci. Il vissuto del veterano dell'urbano si
riversa nel novizio, la linea tracciata da chi é stato non deve che
essere percorsa da chi ora é, in una silente melodia metropolitana,
come propone il lavoro di Nicole Depergola. Il vissuto, il vivente,
ha bisogno, per tramandarsi, di un ambiente che ben lo contenga, di
un contenitore a propria custodia, come testimoniano gli scatti di
Danilo Ursini. In città tutto é segno comunicativo e geometria di
possibilità relazionale, come illustra Daniele de Gennaro. Il vivere
in città é sempre una relazione d'animo con l'ambiente circostante,
una felice immersione nel fluire delle cose, filo conduttore del
lavoro di Antonio Capurso e Mauro Germinario. Nel flusso del vivere
in comunità, ora lento, ora dinamico, anche la sorpresa e il
sorprendersi giocano un ruolo essenziale. L'incontro con gli scatti
nella galleria dell'urbano en plein air, rubati da Jo de Vincenzo, lo
provano. L'esser cittadino vuol dire relazione critica e problematica
con le proprie mura delimitanti, come evidenziano Maura Ghiselli e
Roberto Lusito. Il sentire la città, percepire il suo animo e la sua
struttura fisica, é sempre un confronto col geometrico, scheletro e
struttura portante dell'abitare, qui indagata da Onofrio Depalma, e
con la sostanza materica, atomo ed essenza del costruire, plasmata a
immagine della volontà del costruttore, come suggerisce il reportage
della temporalità del vivere di Vicky Depalma. La geometria
dell'abitare é il muto interlocutore del cittadino. Talvolta, la
materia pare afona, asfittico contenitore di stanca carne umana, qui
presentato dal lavoro di Angelo Ruggiero, talvolta sembra pulsare di
vita sensuale, come quella espressa dagli scatti di Fabiana
Mastroianni e Gianluca Onnis. La materia di città é riflesso del
vivere in città, ma anche materia vivente in sé, perfetta armonia
degli elementi strutturali che parlano d'amore per la forma, per la
solitaria e regale bellezza presente negli scatti di Maria Patruno e
Ruggiero de Virgilio, per la silente ed elegante semplicità del
vivere, fragile e preziosa come suggeriscono Domenico La Forgia e
Michela de Pinto. Come mutevole é l'esistenza, così lo
é anche la città, manipolata e mai uguale a se stessa, città
reale, struttura statica, ma resa malleabile e fluida dal sogno di un
vivere immaginato, essenza delle opere di Annamaria Frascella e
Luisella Gandini. La città sognata e plasmata dall'animo
dell'abitante riserva sorprese, nuove traiettorie esistenziali da
percorrere che sono qui ed ora, in attesa di essere toccate e
percepite, come indica Stefania Piccioni. E allora, quando si é
ormai immersi nel fluire del sorprendersi, quando nulla più é
estraneo alla dimensione cittadina, quando ogni distinzione di lingua
o cultura decade, quando ogni porto, diventa il proprio porto e ogni
Cattedrale, la propria Cattedrale, e finalmente ogni città diventa
propria, nulla stranierà il cittadino del mondo; e l'inaspettato,
qui colto dall'opera di Emma Vitti, sarà investito dalla volontà di
essere conosciuto e toccato sinesteticamente, disvelato e indagato
eticamente, e, allora, ritrovando noi stessi nel sorprendente altro,
non potremo che gioire del piacere fisico ed intellettuale d'una
ritrovata felicità della condivisione, del vivere assieme per la
comunità, per la città e, quindi, per noi stessi.
Marco
Caccavo
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