Translate!

lunedì 18 agosto 2014

Inaugurazione personale di Matteo Casamassima. Intervento critico di Marco Caccavo



Le figure che animano l'universo pulsionale di Matteo Casamassima sono tracce di delusioni racchiuse in fredde forme geometriche. Il suo tratto é influenzato dalla visione urbanistica della pittura rinascimentale, arricchita dal contributo dato dall'Arte metafisica del primo '900, apporto fatto di interrogativi ed inquietudini. I soggetti che l'artista predilige sono figure dai contorni umani che, tuttavia, nulla hanno di sembiante ad una fisionomia antropica classica. Potremmo definirli soggetti svuotati di senso proprio, in virtù di una mancanza di conoscenza sensuale. Infatti, se prendiamo per vere le teorie della filosofia sensista (che qui, per evidenti esigenze, dobbiamo ridurre all'asserzione che vuole nei sensi la fonte della conoscenza), i volti del Casamassima non hanno esperienza del mondo. Infatti, riconosciamo su tela delle teste, rappresentate da figure ovali, senza gli organi, come gli occhi o il naso, per esempio, atti, come si diceva un momento fa, ad una conoscenza ragionata dell'ambiente circostante. Avvertiamo, cosi', una sorta di spaesamento conoscitivo ed emozionale, ben tradotto dall'accurata scelta cromatica, dinanzi il reale qui rappresentato in forma geometrica. L'artista, quindi, riproduce, nelle sue opere, lo scacco di una conoscenza verticale del mondo, fatta di processi accumulativi ai quali manca il sostanzioso abitarsi. Non casualmente utilizzo questo termine; il filo conduttore della mostra é esattamente la difficoltà di essere in un corpo o in un alloggio. Abitare un corpo senza occhi é esattamente abitare uno spazio urbano non proprio. Come improprio é stato lo sfortunato progetto delle Vele di Scampia, a Napoli, che ossessionano l'universo creativo dell'artista. Nate come progetto tutto italiano e animate dalla volontà di creare una nostrana cité radieuse alla Le Corbusier, ispirandosi alle di quello unités d'habitations e alle strutture a cavalletto del giapponese Kenzo Tange, le Vele sono metafora del fallimento di un progetto urbanistico/architetturale che esula dal sentire e dalla weltanschauung, ( termine tedesco intraducibile in italiano, tradotta con la perifrasi "visione del mondo" ) di coloro che avrebbero dovuto abitare quel luogo, ovvero dei residenti, che non riconoscono quell'ambiente come propria casa. E prova ne sono le fin troppo note immagini di degrado di quei luoghi, figlie dell'incapacità di uno Stato di comprendere l'animo dei suoi cittadini meridionali.
Le Vele di Casamassima, sorta di cattedrali nel deserto in scala di grigio, e i suoi volti/manichini non abitati, ispirati, evidentemente, dal metafisico de Chirico, sono, allora, costruzioni preconfezionate nelle quali trovare riparo in maniera anonima, e nelle quali, magari, sopire il proprio slancio vitale, a favore di un vivere a colori sfumati, stemperando, nella fredda geometria della forma, la volontà di un cosciente abitare-il-mondo.

Marco Caccavo
Giovinazzo, 2014










1 commento:

Matteo Casamassima ha detto...

bell'incontro con te. grazie marco