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domenica 15 novembre 2015

"Parigi sotto attacco, la riflessione di Marco Caccavo" pubblicato su Giovinazzolive.it

L'insegnante giovinazzese residente in Provenza: «Attacco all'integrazione e alla società multietnica; il motto della città di Parigi è "naviga e non affonda»


«Lo sapevamo. Sapevamo che sarebbe successo. Non conoscevamo data, luogo, modalità. Ma lo sapevamo». Comincia con queste dolorose parole la riflessione di Marco Caccavo, giovane insegnante giovinazzese che risiede ad Aix-en-Provence che, dal suo punto di vista privilegiato, ha provato a fornirci una chiave di lettura su quanto accaduto a Parigi nelle ultime ore.
«Far finta di niente, spegnere la TV e crearsi una più o meno confortante routine non basta ad esorcizzare la morte, anche quella violenta.Sapevamo che sarebbe successo. E la catastrofe è avvenuta. La notizia non è l'attentato in sé, ma le sue modalità, se vogliamo, "banali", la sua portata e l'incapacità del pur imponente apparato di sicurezza nazionale nel prevenirlo. In quasi tutte le grandi città europee,  la presenza di militari nelle zone sensibili ormai è una realtà con la quale conviviamo. Tolleriamo telecamere ovunque, accettiamo la promulgazione di leggi che limitano la nostra privacy; tutto questo nel nome della "vita serena", come se questa fosse qualcosa da raggiungere perché esistente»
«Ma tutto questo non è bastato, non è mai stato sufficiente. Non sono bastate le nuove leggi varate dopo gli attacchi a Charlie Hebdo, come non è bastato il piano di vigilanza e prevenzione "Vigipirate". Il controllo, seppur capillare, non è sufficiente a scongiurare la totalità di episodi criminali. Perché la Francia, perché l'Occidente? Quello che lo Stato Islamico ci rimprovera non è la nostra miscredenza, infatti, stento a credere che esista una Internazionale jihadista votata alla conquista del mondo e altre esagerazioni che sentiamo. Siamo stati colpiti a causa della nostra presenza in Medio Oriente e in altre zone calde del pianeta. E il nostro essere lì, per i terroristi, ha il sapore di un non meglio definito neocolonialismo. Dunque, la vera guerra in atto non è quella tra Oriente e Occidente, ma quella tra Sciiti e Sunniti per il predominio ideologico e politico nell'ambito del mondo islamico».
«La guerra in Europa è una risposta dovuta al nostro intervento a favore o contro quelle fazioni in lotta. Non è una guerra contro "i crociati", perché alle crociate non ci credono nemmeno loro. Le prime vittime dello Stato islamico sono gli stessi musulmani. In Francia ci sono sei milioni di musulmani. Stando alla logica che identifica ogni musulmano come terrorista, dovremmo avere attentati ogni giorno ed io dovrei essere morto già una trentina di volte. Succede forse questo? Non mi pare che, dopo l'attacco a Parigi, si siano immediatamente create cellule di intervento pro-jihad in tutta la Francia che lasciano supporre una cospirazione internazionale. Qualcuno parlava, anni fa, di cospirazione internazionale ebraica. Aiutatemi a ricordare il suo nome».
«Ma l'attacco c'è stato. È vero. E non è stato l'attacco di un folle, di un "lupo solitario", ma è stata un'azione coordinata e organizzata nel minimo dettaglio.  E l'attacco a Parigi è l'attacco alla Capitale della rivoluzione francese, evento spartiacque tra il Medioevo e la società contemporanea, ad una società fortemente laica, è l'attacco ad una République che, con tutti i limiti di un mondo non perfetto, funziona! Si è colpita una Repubblica che non fa differenza in base al colore della pelle e in base alla religione. È un attacco all'integrazione e alla società multietnica che in Francia ( e in tutto il mondo ) ormai è un dato di fatto e che viene promossa con una spesa sociale e culturale, che parte dalla scuola, enorme».
«Va da sé che i proclami che inneggiano alla violenza, ad una nuova segregazione razziale o religiosa, fanno esattamente il gioco dei terroristi. E il gioco dei terroristi è esattamente la diffusione del terrore, della diffidenza, della paura irrazionale. L'obiettivo dei terroristi e quello di farci credere in guerra contro il nostro vicino; come se fossimo noi, come loro, a doverci armare di bombe e kalashnikov, dimenticandoci che, invece, è lo Stato che, in base ai criteri repubblicani e senza fare minestroni, deciderà chi, come e quando punire i colpevoli. Sono i terroristi che vogliono farci credere che tutto è finito con quelle esplosioni perché, in realtà, gli atti terroristici sono un segno di debolezza. Un kamikaze è un disperato, non un combattente. È vero, sono morte tante persone. Altre ne moriranno. Ma noi siamo i vivi. E il terrorismo odia la vita perché sa che non può vincere. E noi abbiamo già vinto».
«Domani, a scuola, ginnasio dei valori repubblicani, parlerò coi miei alunni,  risponderò alle loro domande. Discuteremo dei loro legittimi timori. E poi tutto tornerà come prima. Meglio di prima. Perché i nostri giovani, futuri cittadini, avranno riflettuto, si saranno informati, avranno ancora più chiaro il senso del loro svegliarsi alle sette ( e, magari, anche dei miei compiti) e  troveranno ridicolo sospettare del proprio compagno di banco e del loro amico. Continueranno a vivere, continueremo a vivere. Perché la sola risposta possibile alla barbarie è continuare a essere vivi, anche a prezzo delle bombe, anche a costo della morte. La Storia, anche col suo tributo di sangue, è già scritta. Il vivere insieme è l'unico dei mondi possibili. Tutto il resto, sono solo reazioni di pancia o politicamente interessate. Gli attentati sono la medaglia al valore di una grande nazione come la mia Francia.
E una medaglia da esibire con orgoglio è l'anticorpo più forte. Il motto della città di Parigi è "naviga e non affonda". Perché questo vascello ha scolpite, nel suo timone, le parole: libertà, uguaglianza e fratellanza». 
Marco Caccavo 

venerdì 20 aprile 2012

Louis Bertrand Castel et Rousseau

Di seguito posto l'intro al mio intervento "Louis Bertrand Castel et Jean-Jascques Rousseau" da me tenuto a Lione, Université Lumière II



En ce qui concerne le rapport entre Jean-Jacques Rousseau et Louis Bertrand Castel, on peut justement appeler ce dernier "père" puisque, comme un véritable père, a eu soin du jeune philosophe qui arriva à Paris en 17411 avec une "Comédie" et son "Projet de musique pour toute ressource2" à la main.
Le philosophe genevois, après être allé à Lyon, arriva dans la Capitale qui présente "les apparences de toutes les vertus sans en avoir aucune3" et confiant "de faire valoir mes [ses] recommandations" puisque "un jeune homme qui arrive à Paris avec une figure passable, et qui s'annonce par des talents est toujours sur d’être accueilli...

1Rousseau s'est déjà rendu à Paris en juillet-aout de 1731, après avoir voyagé à coté de Mme de Warens de Lausanne à Neuchâtel et puis finalement à Paris
2Projet concernant de nouveaux signes pour la musique, Jean-Jacques Rousseau 1742

sabato 7 gennaio 2012

Paris, Passages, Sarkis!

Dopo la pausa natalizia, ecco un mio articolo sull'artista turco-francese Sarkis apparso sul numero 202 di D'Ars di Giugno 2010...come sempre buona lettura! 

Portrait de l’artiste©Muhsin Akgn
Alzi la mano chi non sogna Parigi, la città alla quale abbiamo legato la nostra adolescenziale voglia di libertà condita dal mito del maledetto , foss'egli poeta od artista dei colori. E in un'atmosfera onirica, che tradiva reminiscenze proprie della bohème di Montmartre o Montparnasse, abbiamo partecipato alla Nuit des Musées, tenutasi il 15 Maggio. In questa serata, la capitale francese lascia la porta socchiusa e noi, senza rose, ma con i riguardi che si devono ad una vecchia signora, quella soglia l'abbiamo timidamente varcata. Tra le mille pièces d'itinerario che la città offre, abbiamo scelto il Museo Georges Pompidou, dove da sempre avanguardia e moderno si contaminano. Qui avevamo un rendez-vous molto particolare, un appuntamento con Sarkis e la sua esposizione Passages. Passaggi, al quale potremmo aggiungere parigini saldando così il debito nei confronti di Walter Benjamin, è il titolo di questa esposizione che si snoda in quella permanente dell'intero complesso museale. Dei sette luoghi reinterpretati, che vanno dalla Biblioteca Wassily Kandisky a quella Renard passando per l'Atelier Brancusi e i vari livelli del Pompidou, ci limitiamo, forse arrogantemente, a riportare una cronaca d'emozione riguardo solo due aree che , forse, permettono di meglio comprendere il senso del fare di questo artista turco trapiantato a Parigi. Tema centrale della riflessione pragmatica di Sarkis è la Memoria, quel continuum di ricordi eterogenei e frammentati che permettono di tessere ciò che è la coscienza collettiva di un'etnia o di un semplice gruppo di persone. Estremamente esplicativa è parsa l'installazione presente nella Sala 19, quella del Muro dell'Atelier di Andrè Breton, dove sono presenti alcuni oggetti appartenuti al vate del surrealismo con i quali Sarkis dialoga a distanza tramite la sua Vitrine des Innocents. Qui, in una vecchia bacheca, l'artista custodisce un'accozzaglia (mi si perdoni il termine poco riguardoso, ma cos'è la memoria se non un intreccio di pensieri che si penetrano cozzando?) di oggetti provenienti dalla sua collezione personale come statuette indiane, un cranio di coccodrillo risalente a milioni d'anni fa, figurine raffiguranti personaggi del Signore degli Anelli di Tolkien e recipienti con tracce di pigmenti. Quel coacervo d'oggetti trova ragion d'essere, e d'ordine, grazie ad un neon blu posto al centro dell'opera che rappresenta il nervo ottico dell'artista, facoltà gestaltiana che tutto compone e tutto sistema dando così al reale una parvenza di credibiltà utilitaristica. Sarkis definisce questi oggetti un tesoro di guerra, un KRIEGSSCHATZ, appartenente all'umanità tutta perché: "Tutto quello che ho vissuto [Sarkis] qui c'è. La storia è tuttavia come un tesoro. Ci appartiene. Tutto quello che è successo nella storia ci appartiene. Tutto quello che si è fatto attraverso l'umanità nel dolore come nell'amore, è in noi ed è il nostro più grande tesoro". Semplicemente Illuminante. Ciò che l'artista definisce tesoro è il bottino della guerra che ci chiama in ogni momento alle nostre postazioni di soldati, lo scontro che anima la Storia, la nostra vita vissuta. E gli oggetti, ai quali e nei quali leghiamo momenti del nostro vivere, sono frammenti di noi uomini affidati alla materia o meglio materializzazione di schegge del nostro cogito che appena afferra una cosa - la sente, è sua- subito si svuota per via di quella sete di nuove conoscenze e nuove sfide. Profondamente umano è quindi il collezionare cose, ritrovando in quelle momenti di vita trascorsi, attimi già cancellati dal cogito sempre cogitans. L'oggetto investito dal ricordo parla, narra, grida o sussurra, è un libro, senza postfazione, infinitamente aperto alla contaminazione della relazione col presente. D'altra parte il libro, da sempre, è icona della memoria, come la biblioteca lo è dello Spirito di un popolo; quando una di queste viene dilaniata dalle fiamme appare chiaro il senso di perdita che assale l'umanità tutta. Un identico sgomento accomunò gli uomini quando si sparse la voce della distruzione della biblioteca d'Alessandria e quella delle bombe che polverizzarono, in tempi recenti, quella di Sarajevo. Proprio quest'ultimo è l'avvenimento interpretato da Sarkis in "La robe de Een overnachting op Oud-Amelisweerd" dove un abito, la robe, dialoga con una foto dell'edificio della capitale bosniaca in uno scambio di significati non troppo velato. La trasmissione del sapere, garantita dalle biblioteche, è realmente habitus di un popolo che senza memoria è nudo, cancellato, gasato e ridotto al Silence, come recita l'icona al neon posta all'ingresso dell'opera La chambre. Tutto è dialogo, non ci sono barriere nazionali, temporali o culturali, tutto si riflette nel tutto come l'umanità si riflette in ogni singolo uomo. Quello di Sarkis è un messaggio anarchico, globalizzato, che ben si piega ad interpretazioni d'altro genere. Il tesoro dei tempi contemporanei non è solo fatto di oggetti palpabili, ma anche e soprattutto di realtà virtuali, di scambi di dati tra internauti che tendono a formare un unico cervello global con milioni di mani che usano milioni di mouse. Questa interazione tra utenti, connessi da ogni capo del mondo, andrebbe sempre più incrementata e garantita sancendo finalmente l'importanza del diritto all'accesso alla Rete al pari del medioevale habeas corpus. Così facendo potremmo realmente porre ogni nuovo tesoro condiviso nella grande vetrina dell'Umanità oltre i limiti che il concetto di nazione e razza ancora impongono al mondo degli oggetti reali.



La Vitrine des Innocents,  2005-2007, © Adagp, Paris 2010