Di Marco Caccavo
1861. In un'Italia che pian piano si sta facendo, in un Sud passato dalla dominazione borbonica a quella piemontese, agisce e “si fa agire” un gruppo di grotteschi e romantici briganti, capeggiati da Pasquale Domenico Romano, il celebre “Sergente” di Gioia del Colle.
1861. In un'Italia che pian piano si sta facendo, in un Sud passato dalla dominazione borbonica a quella piemontese, agisce e “si fa agire” un gruppo di grotteschi e romantici briganti, capeggiati da Pasquale Domenico Romano, il celebre “Sergente” di Gioia del Colle.
Marco Cardetta,
autore del testo “Sergente Romano”, ripercorre la “storia
sbagliata” di questi briganti e, in questa intervista, offre nuovi
e ulteriori spunti interpretativi.
Buona lettura!
Prima di tutto, perché scrivere un
romanzo storico sulla figura del Sergente Romano?
La risposta è... “perché no?”
Il brigantaggio, che io preferisco
chiamare “banditismo post-unitario”, è un periodo
affascinantissimo: in parecchie cose e caratteristiche simile al
western americano (stessi anni, stesso periodo storico, quindi stessa
tecnologia, vicende, vestiario, simile antropologia, etc.), eppure a
differenza del western americano, per nulla investigato o affrontato
narrativamente. O comunque molto poco, rispetto a quello. O comunque
con un linguaggio narrativo forse non adatto e non vincente.
Il primo impulso è venuto da quello,
che è la fame del centravanti davanti alla porta: storia fichissima,
non ancora trattata da nessuno bene come dico io.
E poi da lì si sviluppano i trecento
perché più personali e più universali, più intimi e più
filosofici che mi portano a spendere parte di questa mia giovane e
magra esistenza su ricerche su questo tema.
Di certo di quella stagione, Romano è
una delle figure più affascinanti, più emblematiche, più
esemplari: misterioso, fosco, grottesco, eroico e maldestro. Pieno di
afflato ideale, romantico eppure così "sbagliato", così
incapace di leggere il processo storico.
Prima o poi ci si renderà conto che la
storia la fanno gli “sbagliati”, anche.
A rifletterci, anche Dante non aveva
capito nulla del suo momento storico e fu storicamente e
politicamente perdente. Risolse tutto con l'afflato all'assoluto.
Anche Romano ha qualcosa di simile. Solo che non ha gli strumenti per
esprimerlo. E' un cosmo imploso, come lo sono gli analfabeti che lo
accompagnano.
I protagonisti del tuo libro,
Romano, Ciqquagna, Trimonciello..., più che soldati legittimisti
sembrano dilettanti allo sbaraglio. Le situazioni in cui si cacciano
questi briganti, dal linguaggio più che colorito, sono più
grottesche che "eroiche".
Perché questa scelta?
Non è una scelta. Questa è la mia
visione del mondo e dell'esistenza. Non conosco eroi e non conosco
vincenti. Conosco un nugolo di situazioni che sono a loro volta un
coacervo di concause che si determinano tra loro senza mai esaurire
in alcun modo l'evento (dato che nessun evento ed esperienza è in sé
esauribile né riferibile, perché il totale non è la somma delle
parti e l'analisi, come sezionamento, non conduce a nulla).
E così sono questi personaggi, che
sono dei "nomi", sotto i quali scorrono fiumi di pulsioni,
linguaggio, ragionamento e casualità. Questo li determina e li
connette. E' una concezione che non trovo così straordinaria. Fa
parte di tutto il mediterraneo fino ad Eduardo. Comico e drammatico
continuamente mescolandosi. E comunque i documenti storici ci
raccontano che questi banditi analfabeti erano davvero così.
Nel tuo testo, quanto c'è di
storico e quanto di “romanzato”?
Nel testo c'è di storico quanto c'è
di romanzato come in ogni testo, come ogni racconto, anche quello
della propria esistenza, anche quello della propria biografia. Cos’è
la storia? Cos’è il racconto? Cosa sono le domande? La domanda ha
in sé già la risposta in bocca. Ogni figura storica, Romano
poniamo, è un chiaro scuro di documenti. Basta che l’archivista
che mi portava il faldone d’incartamenti, sbadato, s’è perso una
carta svolazzante e avrò un ritratto piuttosto che un altro, più
cattivo, più scemo, più romantico.
Ogni sguardo è una selezione
arbitraria di significanti in un corpuscolo indefinito di elementi.
E per me il più grande realista è il
visionario (fellinianamente).
Diciamo in generale che l'adesione alla
vicenda nel Sergente Romano è pregnante e che la ricerca del
documento è votata a cercare quello che anche la più bizzarra
capacità immaginativa non potrebbe mai immaginare. Dunque ho
immaginato il verosimile e l’inverosimile l’ho tratto dai
documenti. Ma alcuni di quelli sono falsi.
Nella ricca nota al testo, a pag.
165, leggo: "Ma perché vi riconoscete voi veramente in qualcosa
che si chiama Italia e nella sua unitarietà indefinita?". Qual
è la tua risposta?
Perché, che cos'è l'unitarietà? La
risposta è che io mi riconosco in quell’unitarietà che affoga in
se stessa riconoscendo la propria molteplicità e multiformità.
Mi riconosco allora nell’Italia dei
suoi confini relativi, mi riconosco nell’emersione delle acque
milioni di anni fa, dalle quali per prima emerse tra le altre la
Murgia, mi riconosco negli spostamenti geologici che determinarono le
fratture alpine, che spezzarono i flussi di antropizzazione con le
popolazioni più a nord, mi riconosco nell’acqua salata che la
circonda e mi riconosco negli accordi arbitrari di cessioni
territoriali.
Mi riconosco nei due mila anni di
copule multietniche che mi scorrono nel sangue, mi riconosco nel mio
essere albanese, figlio di ricolonizzazione del mio paese natale nel
XV sec., nonché nel mio essere greco e saraceno; mi riconosco
altresì in quei poveri cristi che sbarcano sulle nostre coste (o
crepano in quelle acque salate che ci circondano) e che mi sono molto
più “cittadini” di qualche razzista ignorante; mi riconosco nei
venti e più dialetti che animano la penisola, e che in realtà sono
lingue, con propria sintassi e lessico, nei quali scorrono il
francese, lo spagnolo e le nostre varie dominazioni. Mi riconosco nei
fiumi linguistici che fanno sì che ci si possa comprendere al di là
delle nazioni e dei confini geografici, come quello che scorre dal
Friuli lungo il Veneto fino al Piemonte e alla Catalunya e fa sì che
la mia amica cantautrice catalana Rusó Sala si comprenda benissimo
con parlanti dialettali friulani.
E mi riconosco pure in quei migranti
che salvano il vecchietto dal maniaco che voleva ammazzare tutti in
strada con un martello, come accadde qualche anno fa a Palermo, e per
questo gesto eroico ricevono una carta verde di venti giorni, mentre
un "italiano" può macchiarsi dei peggiori reati finanziari
e resta benissimo nel consesso civile, ricevuto con onori in tv.
Credo in definitiva in quegli olimpici
sportivi trentini che parlano più tedesco che italiano e non
conoscono l'inno nazionale. In loro credo più di tutti.
Come ti spieghi il fortunato momento
della saggistica "revisionistica" sul Risorgimento
italiano?
Il momento in fondo non è così
fortunato. E' un fiume lento che si muove da qualche anno. Ma dal
punto di vista storico e antropologico c'è ancora moltissimo da
fare. Quasi tutto.
Solo ora finalmente, diciamo da due-tre
anni, anche il mondo accademico che da sempre ha snobbato il tema,
sta iniziando ad interessarsi e a pubblicare interessanti cose sul
tema.
C'è da fare molta chiarezza,
gerarchizzare le fonti e la bibliografia. E c'è bisogno
dell'autorevolezza e della tecnica di ricercatori anche accademici
che troppo spesso sono mancati. Per non lasciare il campo a
ricostruzioni faziose neoborboniche o opposte, che troppo spesso
creano solo confusione, dicendo magari anche la cosa giusta ma nel
modo più sbagliato, senza tecnica storica, senza citare le fonti, o
interpretando forzatamente il dato.
Non c'è da revisionare chissà che.
C'è solo da conoscere meglio il mondo e la propria storia, quella
dell'unità d'Italia come anche altre storie e microstorie.
Con la conoscenza approfondita che ho
del mio territorio ti posso dire che ci sono anche altri interi cicli
storici che metonimicamente possono dirti cose sul mondo intero,
lavorando su un piccolo pezzettino di mondo, e non sono ancora
sfruttati.
Penso ad esempio
a Federico II, esempio di pace e fratellanza, di illuminatezza, e
però ancora poco divulgato, forse per la stessa enormità del
personaggio.
Per saperne di più:
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