"Uscire
dal sistema vuol dire rivoluzione."
Appunti per
una guerriglia,
Germano
Celant, 1967
Michelangelo Pistoletto, Sfera di
giornali, 1966
carta di giornale pressata e incollata
dimensioni dello spazio
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La contemporanea collettiva itinerante, inauguratasi nel settembre 2011
e che si protrarrà fino ad aprile 2012 in alcune delle principali
città italiane ( Bari, Bergamo, Bologna, Milano, Napoli, Roma e
Torino ), offre la possibilità di ripensare, attraverso
l'esposizione di ben 250 installazioni ambientali, affiancate da 50
opere di artisti americani ed europei, il senso dell'Arte
Povera, movimento
nato sulla scia del subbuglio di idee di metà anni '60, e della sua
portata rivoluzionaria. Germano Celant, critico e mentore del
movimento, nel 1967, anno d'apparizione del manifesto "Appunti
per una guerriglia",
già intravedeva un artista finalmente libero, pro-gettato in
"un'arte povera, impegnata con la contingenza, con l'evento, con
l'astorico, col presente",
ormai divenuto guerrigliero
dove la sua
povertà é
identità del suo essere uomo con l'azione, col comportamento sempre
imprevedibile e
invincolato,
tale da sottrarsi finalmente a quella catena
di montaggio che
lo rendeva ingranaggio
del meccanismo
dell'arte. La ribellione del '67 che voleve l'artista
da sfruttato a guerrigliero é
più che mai attuale. Appropriata ai tempi moderni é ancora la
macchina da guerra di Celant, ma nuovi sono i campi di battaglia e
rinnovate sono le scommesse. Chi fa arte oggi deve riprendere a
muoversi come
un cavallo nel gioco degli scacchi ed
ancora più osare l'utilizzo di materiali inconsueti come lettere
d'un alfabeto d'una lingua dal significato cangiante.
Fughiamo ogni dubbio, l'arte povera non lo é in quanto si colga
gratuitamente o
con un frugale slancio dell'intelletto, ma in virtù del suo essere
espressione umana che privilegia materiali poveri,
come una foglia di lattuga o un insieme di stracci, in quanto
elementi basilari, imprescindibili, primi e primordiali. Ed ecco la
realtà ridotta ai
minimi termini da
questi atomi che,
invece, nell'arte
ricca diventano tasselli
materici
sviliti
di significato che corrono a comporre lo specchio
di una vita fin troppo opulenta e comoda che non si preoccupa che
della cipria da
gala. La portata
politica di
questo vecchionuovo
utilizzare
il materiale
d'arte é ancora attuale in un mondo contemporaneo dove, badando
maggiormente al fronzolo, ci si é dimenticati dei componenti che
quell'orpello tengono in piedi. L'arte povera é soprattutto uso del
materiale primario in
sé, elemento madre - mater
che
dà la vita - che cova e sviluppa una lotta continua,
polemos, bellum.
Dov'é
finita la lotta degli elementi ai nostri giorni? Dove la tensione
chimica tra atomi? Tutto é ancora previsto e prevedibile, tutto é
già spiegato. Dov'é
la meditazione
attiva che sorge dalla visione di un'opera? La speculazione post
arte é quanto di
più guerrigliero
e militante possa esserci, allontanando definitivamente la fruizione
de l'art pour l'art
buona, nel contemporaneo, solo per essere sfogliata nei manuali di
storia dell'arte. Altra caratteristica del povero,
ieri come oggi, é la
sua spinta centrifuga che ruppe allora l'asse artistico occidentale e
neocoloniale, i famosi legami Parigi-New York, per poi volgere il
proprio sguardo verso quel decentramento che ha investito culture e
territori prima esclusi di fatto dall'arte che conta.
Ripensare, attualizzandola, l'Arte povera, non é quindi un di
più, un favore
che l'eurocentrismo concede alle culture inferiori,
ma una,
o meglio la,
possibilità politica globale che i vecchi continenti hanno di
riprendere un dialogo meticciante, perché decentralizzato ed
orizzontale, con le ormai ex nuove economie che oggi, di fatto, hanno
in mano le redini della crescita mondiale, paesi artisticamente
poveri
che in virtù della loro particolare e inattuale lotta per la
ricchezza sono oggi i veri guerriglieri del mondo a venire.
Alighiero Boetti, Mappa, 1983
ricamo su tela
112 x 167 cm
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