Posto il mio ultimo articolo, pubblicato nella versione online per D'ARS il 16 Novembre 2011
Buona lettura!
Il ritornello poetico di Yeats, Une terrible beauté est née - una terribile bellezza è nata1 -, é il motto dell'undicesima biennale di Lione, visitabile fino al 31 dicembre, verso che, parole del direttore artistico Thierry Raspail, non potrebbe meglio descrivere lo stato dell'arte al giorno d'oggi. Per chi scrive, l'assioma di Raspail risulta assai condivisibile perché l'arte contemporanea, giocando sull'unione di questi termini apparentemente contradditori, provoca ogni volta uno shock, la concentrazione di un'energia potenziale nello spettatore: come a dire che la bellezza nell'arte é terribile perché, una volta percepita, difficilmente ci lascia indifferenti.
Laura Lima, Men=flesh/Women=flesh -
Puxador, 1998-2011
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Concentrata
in quattro luoghi d'esposizione, per un totale di più di 13000 metri
quadri, la biennale lionese, curata dall'argentina Victoria
Noorthoorn, propone un panorama abbastanza vasto e variegato delle
tecniche e degli stili che fanno
l'arte contemporanea. Impegnativo é stato, come sempre accade in
eventi di simile ampiezza, il dover scegliere una o più opere su cui
soffermare la penna; tuttavia, dopo una scelta ragionata ed al
contempo impulsiva, ci si é decisi per un'analisi di due opere di
Laura Lima, artista che vive e lavora a Rio de Janeiro.
Laura Lima, Gala Chicken
and Gala Coop, 2004-2011
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La
prima, un'installazione dal titolo Puxador,
alla
quale viene consacrata un'ampia sala della Sucrière,
vecchio deposito sulle rive del Rodano,
é
una sorta di
rilettura in ambienti post-industriali del sempiterno conflitto tra
il dinamismo della volontà e la staticità della materia. Il
figurante, nudo ed imbrigliato in legacci, mediante il suo movimento
sfida l'inerte tentando di abbattere le ciclopiche colonne che
sorreggono il Complesso, in un'alternanza di spinte umane e
controspinte materiche che vanificano ogni sforzo. Il fuggente
è trattenuto, ma il ben
fissato non riesce
a mortificare l'agente
che imperterrito prosegue il suo sospingersi verso la libertà. Una
terribile bellezza è nata
qui é da leggersi dunque come una terribile volontà che è venuta
alla luce e che cerca, titanicamente, di mettere in pratica il suo
volersi. L'assenza di spostamento evidente, non di un centimetro la
volontà fa avanzare o arretrare il soggetto spostante
e
la materia
da spostare, non
coincide tuttavia con un'assenza di progressione temporale; la
tensione tra il tirante,
soggetto alla
stanchezza, e
la colonna, continuamente sottoposta a vibrazioni, in un
tempo dilatato
potrebbe stancare l'agente
o far crollare il resistente,
lasciando così
libero il
fuggiasco. Ma,
a ben ragionare, il crollo sarebbe poco o per nulla funzionale
all'obiettivo stesso del prigioniero perchè, se c'è il cedimento,
va da sè che
l'atto si interrompe, interruzione causata
dalla
libertà, ora assoluta, che andrebbe poi a perdersi, essendo questa
un diritto/dovere
esercitato sempre nei confronti di un ostacolo. Inoltre, una volta
sconfitto o messo in movimento l'inerte, anche la volontà diventa
pura energia
teorica che si va
a disperdere non potendo più cozzare con una resistenza. Se così
stanno
le cose, il messaggio dell'artista diventa un invito al continuo
tendere ad una volontà che deve volersi in quanto tale, in una sorta
di tensione
mai appagata e mai da appagare, pena la
cristallizzazione in una forma
e la conseguente riduzione a pura cosa.
Laura
Lima ci è parsa artista parecchio interessante e particolarmente
sensibile al vivente in sé, inteso come corpo, ma anche alle
alchimie-tensioni
emozionali legislatrici dello stesso. La Lima, nel suo interessarsi
al sentire,
pare confutare il dogma dell'antropocentrismo che vuole l'uomo fulcro
di ogni società, dell'emotività e di quant'altro si ha la pretesa
di identificare esclusivamente come umano.
In questa piramide rovesciata della gerarchia del vivente, dove solo
la base é la dimensione che interessa, di fondamentale importanza
sono le pulsioni
sotto osservazione
dell'opera Gala
Chicken and Gala Coop,
pollaio/società sorto in un altro spazio della Biennale, non a caso
Usine – Fabbrica
– T.S.A.E. Qui
l'artista propone una polis
di galline e galli, dai bizzarri colori, fondata da lei stessa nel
2004, in cui, nel corso degli anni, ha notato alterazioni della
struttura sociale, piccoli e grandi soprusi, atti di generosità,
come anche cambiamenti di gusti sessuali che antropocentristicamente
possiamo definire umani,
ma che piuttosto sono normali,
naturali.
Insomma, nel micromondo
di
un pollaio ci
sono tutti i grandi e piccoli mutamenti di cui si alimenta la società
nostra superiore
e, ne siamo sicuri, meno tollerante di questa animale. Uomini-polli o
polli-umani? La risposta ci porterebbe ad istituire un'equivalenza
tra le due specie, ritrovando esattamente gli stessi meccanismi
sociali ed allora l'antropocentrismo sarebbe solo un dogma assunto
per mancanza d'una osservazione dall'esterno realmente obiettiva.
1Easter
1916 (Pasqua 1916), W.B. Yeats
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