Se,
come scrive Giorgio Agamben in Kommerell
o del gesto1,
la critica ha tre livelli esemplificabili in tre sfere concentriche
di cui l'ultima è la
risoluzione dell'opera in un gesto d'intenzione,
l'arte di Arman, artista eponimo del gruppo dei Nouveaux Réalistes,
è tutta condensabile in tracce ed impronte, in allures
d'objets e
cachets,
ricercanti il significato ultimo del fare arte. Il museo parigino
Pompidou
ha celebrato con un'ampia ed esauriente retrospettiva, per un totale
di centoventi opere, la vita e il lavoro di Arman che è parso a chi
scrive un inno alla volontà di potenza del gesto d'artista. Un
gesto, che non dà a sè il suo esserci e il suo dire, è da
intendersi stadio meno ragionato e più viscerale
dell'espressione comunicativa di un soggetto. Kommerell definisce
l'atto gestuale essenzialmente come gesto
linguistico
-Sprachgebärde-
ovvero una volontà di parola mancata che tradisce, nel suo non
dirsi, l'incapacità d'essere contenuta in codici pre-ordinati. Nella
società dei sofisti, l'uomo ha perduto i suoi gesti, ne ha svuotato
di volontà di potenza il contenuto, rendendoli così convenzioni
sociali svilite di portata comunicativa. Agamben dichiara che
un'epoca che ha
perduto i suoi gesti, è per ciò stesso, ossessionata da essi; per
uomini, ai quali ogni naturalezza è stata sottratta, il gesto
diventa un destino.
Ampia
introduzione, ma premessa irrinunciabile per comprendere
l'opera di Arman che ci pare essere un costante richiamo al valore
primordiale del gesto che dà senso all'oggetto. La società della
catena di montaggio e della serialità dei prodotti di consumo
reclama a gran voce quella ossessione di cui parlava Agamben.
L'ossessiva ricerca della ragion d'essere dell'oggetto
seriale, per
il feticcio
ragionevole di
Restany,
porta alla
distinzione, in Arman, tra l'oggetto identico ad un altro
nell'aspetto e la sua assoluta singolarità data dalla differente
propria destinazione d'uso, perchè ogni oggetto non sarà mai
investito dai gesti di uno stesso attore esistenziale. Ed ecco allora
l'identico,
ma diverso,
delle accumulazioni
come in La
vie à pleines dents o
il celebre Home
sweet home. Il
gesto, per definizione, è un voler indicare una presenza, un'essenza
che sussiste in un determinato spazio. Arman sceglie lo spazio che lo
circonda, intendendolo geometricamente come fosse una scacchiera e
ponendo se stesso in
fianchetto,
in prospettiva
trasversale. Il suo è un riempire in virtù del suo essere
impulsivo, come istintivo fu l'allestimento alla galleria d'arte di
Iris Clert quando, nel 1960, Arman ci sversò oggetti di scarto che
fino a un momento prima erano considerati comuni rifiuti. Nel 1959
l'artista sperimenta la sua prima poubelle
– pattumiera - sversandone
il contenuto che, da quel momento, acquistò vita nuova facendo
diventare anche il contenitore non più luogo di transito temporaneo,
ma meta finale, teca della memoria rivelatrice della personalità del
consumatore. L'esposizione
parigina presenta alcune delle più famose poubelles,
dalle prime rudimentali del cinquantanove a quelle più complesse
degli anni settanta nelle quali si cristallizzarono, a sacra icona
della civiltà dei consumi, anche scarti organici resi inerti
dal collante masscast.
Gesto totale è
anche il colpire, con violenza e con collera, oggetti che un momento
prima si accarezzavano quasi a cercare un intimo dialogo affettivo.
Di questa serie, iniziata nel sessantuno, a Parigi si presenta la
celeberrima Chopin's
Waterloo del
sessantadue e Die
Weisse Orchid del
sessantatrè. Tuttavia
non si tratta di gesti collerici tout
court, anche se
comunemente definiti colères
et coupes – collere e colpi ,
ma bensì di bagliori di volontà di conoscenza più intima e
materica,
volontà di liberare l'anima delle cose imprigionata dalla forma e
anche, più precisamente nei coupes,
di voglia
di ridisegnare il reale dando ad esso prospettive nuove, reinventando
l'anamorfosi
o la destrutturalizzazione
come
in Subida al
cielo
e in Du
producteur au consommateur.
Arman è
ossessionato dall'oggetto investito dal gesto perchè ossessionato
dal vissuto di ciascun utilizzatore. La distruzione della materia,
nella serie
de
Les Combustions
– Le Combustioni -, rappresenta
la massima presenza dell'immagine-oggetto,
fissata nell'attimo del suo emergere quantitativo, [...] ovvero
interamente linguaggio (Restany)
come nell'opera The
day after,
salone stile Luigi XV interamente fuso nel bronzo. Un pianoforte che
arde è la massima materializzazione dell'immagine che, ridotta a
cenere e a carcassa fumante, permette la manipolazione del rovente e
segna la strada della digitalizzazione della stessa. Arman, col suo
bruciare, materializza ciò che ha reso immateriale, sacrificando il
corpo dell'immagine per l'idea dell'immagine stessa. Possibile è ora
ricomporre i granelli e disporli a piacimento, proprio come se si
fosse dinanzi lo schermo di un computer e si vedesse un'immagine
decomporsi in particelle indefinibili, in mille pixel che, anche se
monadi orgogliose, concorrono, nell'idea di chi guarda, alla
ri-composizione più intima e ragionata di ciò che un momento prima
era solo
un tutt'uno, una contemplazione d'aristotelica memoria, retaggio di
un'arte troppo vecchia, troppo poco réaliste.
1
in "La potenza del pensiero" saggi e conferenze, Giorgio
Agamben, Biblioteca Neri Pozza, 2010
Arman,
Poubelle des Halles,
1961
©ADAGP
Paris 2010, phot. Philippe Migeat
Collection
Centre Pompidou, Dist. RMN
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Arman,
Le Fauteuil d’Ulysse,
1965
©ADAGP
Paris 2010, phot. Jean-Claude Planchet
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