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sabato 26 maggio 2012

III Edizione di Terra di Sud, proposta II, Emmanuel Lévinas


Ciao Marco,

Ti scrivo in merito alla richiesta di proposte per Terra di Sud III edizione. Sai personalmente sono rimasto molto affascinato dalle edizioni precedenti e ti ringrazio per aver avuto il coraggio di offrire questa opportunità alla gente della nostra piccola Giovinazzo...Dopo aver appreso i temi delle due edizioni precedenti mi sembrerebbe quasi necessario (dopo il confronto Uomo-Spazio) il tema Uomo-Tempo.
Ti riporto qui il passo del libro che per caso avevo sotto mano e che secondo me si intona con l’armonia del tuo precedente lavoro:
“[…]Il tempo è la limitazione dell’essere finito o è la relazione dell’essere finito con Dio? Relazione che non assicurerebbe tuttavia all’essere un’infinità opposta alla finitezza, ne’ un’auto-sufficienza opposta al bisogno, ma che, al di là della soddisfazione, significherebbe il sovrappiù della socialità. Questo modo di interrogare il tempo ci sembra costituirne, ancora oggi, il problema vivente. Le temp et l’Autre intravede il tempo non come l’orizzonte ontologico dell’essere dell’essente, ma come il modo dell’al di là dell’essere, come relazione del pensiero con l’Altro e –attraverso diverse figure della socialità posta di fronte al volto dell’altro uomo: erotismo, paternità, responsabilità per il prossimo- come relazione con il Tutt’Altro, con il Trascendente, con l’Infinito. Relazione o religione che non è strutturata in termini di sapere, cioè di intenzionalità. Quest’ultima implica la rappresentazione e riconduce l’altro alla presenza e alla com-presenza. Il tempo, al contrario, significherebbe, nella sua dia-cronia, una relazione che non compromette l’alterità dell’altro, pur assicurando la sua non-indifferenza al pensiero.
Come modalità dell’essere finito, il tempo dovrebbe significare, infatti, la dispersione dell’essere dell’essente in momenti che si escludono reciprocamente e che, anzi […] si espellono, ognuno, nel passato, fuori della propria presenza, fornendo tuttavia l’idea folgorante di questa presenza, di cui suggerirebbero così e il senso e il non-senso, la morte e la vita. Ma allora, l’eternità –di cui […]l’intelletto pretenderebbe di possedere l’idea a priori, l’idea di un modo di essere in cui il molteplice è uno e che conferirebbe al presente il senso pieno- non è forse sempre sospetta di non fare altro che dissimulare la folgorazione –la mezza verità- dell’istante, ritenzionata in un’immagine che vuol far credere di essere intemporale e che è capace di illudersi sulla possibilità di riunificare ciò che non è riunificabile? Questa eternità e questo Dio intellettuale non sarebbero forse, in fin dei conti, il risultato della composizione di questi mezzi istanti astratti e incostanti prodotti dalla dispersione temporale, cioè un’eternità e un Dio morto? La tesi principale intravista in Le Temps et L’Autre consiste, al contrario, nel pensare il tempo non come una degradazione dell’eternità, ma come relazione con ciò che, di per sé inassimilabile, assolutamente altro, non si lascerebbe assimilare dall’esperienza, o con ciò che, di per sé infinito, non si lascerebbe com-prendere […].
Il tempo significa questo sempre della non coincidenza, ma anche questo sempre della relazione […] filo più tenue di una linea ideale e che la diacronia non recide; essa lo preserva nel paradosso di una relazione, differente da tutte le altre relazioni della nostra logica e della nostra psicologia, le quali, a titolo di comunanza ultima, conferiscono, come minimo, la sincronia ai loro termini. Qui, relazione senza termini, attesa senza atteso, aspirazione insaziabile. Distanza che è anche prossimità –la quale non è una coincidenza o un’unione fallita, ma significa tutto il sovrappiù o tutto il bene di una socialità originaria.[…] Tutte le descrizioni di questa distanza-prossimità possono essere d’altronde solo approssimative o metaforiche, poiché la diacronia del tempo, ne è e il senso non figurato, il senso proprio, e il modello. Il movimento del tempo inteso come trascendenza all’infinito del tutt’Altro, non si temporalizza in maniera lineare, non ha il carattere rettilineo del raggio intenzionale. Il suo modo di significare, segnato dal mistero della morte, devia nel momento in cui entra nell’avventura etica della relazione con l’altro uomo.
[…] L’alterità umana non è pensata a partire dall’alterità puramente formale e logica mediante la quale si distinguono gli uni dagli altri i termini di ogni sorta di molteplicità (dove ciascuno di essi è altro già in quanto portatore di attributi differenti o, in una molteplicità di termini uguali, ciascuno di essi è l’altro dell’altro a causa della sua individuazione). La nozione di alterità trascendente –quella che dischiude il tempo- è ricercata innanzitutto a partire da un’alterità-contenuto, a partire dalla femminilità. La femminilità –e bisognerebbe vedere in che senso questa stessa cosa può dirsi della mascolinità o della virilità, cioè della differenza dei sessi in generale- ci è apparsa come una differenza che va al di là delle differenze, non soltanto come una qualità differente da tutte le altre, ma come la qualità , appunto della differenza. Idea che dovrebbe render possibile la nozione della coppia nella sua distinzione rispetto ad ogni sorta di dualità puramente numerica, la nozione di socialità a due, che è probabilmente necessaria all’eccezionale epifania del volto –nudità astratta e casta- che si distacca dalle differenze sessuali, ma che è essenziale all’erotismo, ed in cui l’alterità –intesa ancora una volta come qualità, e non come distinzione semplicemente logica- è sostenuta dal non uccidere che il silenzio stesso del volto dice. Significative irradiazione etica all’interno dell’erotismo e della libido, mediante i quali l’umanità entra nella società a due e la sostiene, autorizzando, forse, a mettere per lo meno in discussione il semplicismo del pan-erotismo contemporaneo. Vorremmo sottolineare infine una struttura della trascendenza che in Le Temps et l’Autre è stata colta a partire dalla paternità: la possibilità offerta al figlio, posta al di là di ciò che può essere assunto dal padre, resta ancora sua in un certo senso. Proprio nel senso del legame di filiazione. Sua –o non indifferente- una possibilità che un altro assume: mediante il figlio una possibilità al di là del possibile! Ciò che, a partire dalla nozione –non biologica- della fecondità dell’Io, mette in discussione l’idea stessa del potere, com’è incarnata nella soggettività trascendentale, centro e sorgente di atti intenzionali.” (dalla prefazione del libro “Il Tempo e L’Altro”, E.Levinas, traduzione e cura di Francesco Paolo Ciglia). 
Ciao e buon lavoro!

Potete inviare le vostre proposte all'indirizzo mail marcocav82@hotmail.com  o inviando un messaggio di posta privata al profilo Facebook Terra di Sud o Marco Caccavo.


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