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domenica 29 novembre 2015

"Crocifisso e presepe. A scuola di laicità" di Marco Caccavo

Sull'onda del terrorismo internazionale che ha colpito il cuore dell'Europa, ritorna la vexata quaestio sulla laicità della scuola italiana, soprattutto con l'avvicinarsi del Natale, festa importante, ma, ricordiamocelo, non di tutti.

La scuola è uno spazio pubblico e come tale deve essere laico. Non si dovrebbero esporre dei segni di natura religiosa, al pari di ogni altro simbolo (come quelli di natura politica, ad esempio), che potrebbero fare proselitismo. L'obiettivo della scuola è lo sviluppo armonioso e autonomo dello studente, anche per quanto riguarda la scelta di confessione o partito politico. Inoltre, tali segni potrebbero indurlo a una presa di distanze dal Pubblico perché avvertito come diverso, avverso.
Immaginiamo uno studente di cultura (anche religiosa) differente. Entrare in un'aula dove è presente il crocifisso, lo mette già in una situazione di esclusione sociale accompagnata da un sentimento di colpa, in virtù della sua presunta diversità. Uno dei valori portanti della scuola è, come si sa, la neutralità riguardo le diversità di natura sociale in nome dell'eguaglianza di tutti i cittadini ( e, permettetemi, i minorenni sono più uguali degli altri). Certo, ognuno ha le proprie tradizioni e la propria cultura. Ma la scuola non è luogo deputato alla confusione tra il privato e il pubblico, tra fede intima e manifestazione della stessa. L'unica religione (o meglio ideale) è quella Repubblicana, di Stato, fatta di inclusione e basata sul principio di uguaglianza. Soprattutto in questo periodo, nel quale delicati sono i rapporti tra civiltà e tradizioni diverse, proporre quella che può essere avvertita come differenza di Stato non è la migliore delle strategie da adottare in vista della pace sociale. Se io tolgo il crocifisso in nome dell'ideale di uno Stato laico, posso anche chiedere uno sforzo di laicità a coloro che oppongono con forza altre tradizioni. E lo Stato è il garante di questa neutralità.
Chiedere un passo indietro a coloro che vorrebbero imporre « la tradizione », vorrebbe dire farne due o tre in avanti verso una società multiculturale, dove di tradizionale ci sarebbe solo l'uguaglianza.
Non si dovrebbe imporre il presepe con un atto di forza perché « è la nostra tradizione », questo implica una gerarchizzazione delle culture tra cittadini italiani (e non). E questo non è ammissibile.
Meglio sarebbe, invece, approfittare di questa consuetudine per una sequenza didattica sulle differenze culturali e religiose. Non imporre il presepe, ma spiegare a tutta la classe cosa vuol dire fare il presepe. Insomma, a scuola, si dovrebbe far vivere la tradizione non come un dogma, ma come una pista pedagogica per permettere il dibattito tra alunni che, in classe e per lo Stato, sono tutti uguali. E, in occasione di feste religiose di altre confessioni, si potrebbe fare lo stesso.
Spiegare, argomentare, parlare e, soprattutto, per noi insegnanti, ascoltare.

Marco Caccavo

Facebook: Marco Caccavo
Twitter: @MarcoCaccavo



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