Ricomincio da Sud
Lino Patruno
Il
testo di Patruno, del quale oggi discutiamo, é l'ennesimo schiaffo,
e con Patruno siamo abituati a prenderne, vuoi leggendolo come
editorialista per la Gazzetta, vuoi come attenti lettori della sua
opera, dicevo uno schiaffo, a quello che l'autore in "Fuoco del
Sud", altro suo fondamentale lavoro, definisce il paurismo,
lo sconfittismo,
il perditismo
del meridionale, ovvero una cosciente sottomissione a non si sa cosa
che ci impedisce, cito Patruno, di "vedere
ciò' che per pigrizia, per malafede, per partito preso, per
ignoranza, per assuefazione, per superficialità non si vede".
Ma cosa
non si vede? Non si tratta di semplice miopia, piuttosto, parlerei
del bisogno di avere una visione ragionata, riappropriata, del Sud.
Cosa vediamo al Sud? Vediamo che il Sud é quello che é, e che
magari da 150 anni e più é o é diventato, un esserci fatto di
povertà, di conseguente emigrazione, di reddito inferiore a quello
del resto d'Italia, di malavita, di monnezza per le strade, di
tradizioni, per qualcuno, da sottosviluppati, di carte gettate per
terra, di industrializzazione a macchia di leopardo, di eccellenze,
di poli tecnologici, di imprenditori come Callipo che anche in
seguito a numerose intimidazioni dichiara: "Io
resto in Calabria", di giovani e
meno giovani che resistono, che dicono ora "Ammazzateci
tutti", di piccole e grandi oasi
dove la ricchezza non é un miraggio, ma una solida realtà...ma
come? Siamo partiti vedendo il brutto e ora piano piano aggiustiamo
la mira, la lente critica si affina, mettiamo a fuoco, ora vediamo,
senza aberrazione ottica, che il Sud é anche sviluppo, ricchezza,
coraggio. E allora, perché un momento fa dicevamo, con
auto-disprezzo, che il Sud, si sa, é il Sud? Questo perché, credo,
fin da quando nasciamo ci sentiamo condannati a vivere in uno stato
emotivo di inferiorità e minorità endemica.
Ora,
grazie al lavoro di Patruno, che, nel suo testo, elenca alcune delle
eccellenze meridionali, narra di storie di coraggio, di piccole e
grandi inversioni di marcia, possiamo finalmente sfatare alcuni miti
sulla nostra atavica incapacità di intraprendere la via dello
sviluppo. Grazie al libro "Ricomincio
da Sud", cambiamo finalmente
postura, atteggiamento, e finalmente scopriamo che, altro che palla
al piede, se non ci fosse il Sud, l'Italia avrebbe un quarto in meno
della sua ricchezza e mancherebbero in tutta Italia, quindi anche
nella sedicente autosufficiente Padania, prodotti fondamentali come
la plastica o l'acciaio, e mancherebbe a questa nostra Italia, la
base logistica sulla quale oggi più si punta: mancherebbe quella
testa di ponte nel Mediterraneo, testa benedetta dall'Unione europea
come, ne é un esempio, il corridoio otto, progetto, appunto,
paneuropeo che favorirà lo scambio di merci e persone collegando
i porti di Bari e di Brindisi con
l'Albania, la Macedonia e la Bulgaria. Scambio di
merci e persone che sarà volano di sviluppo per l'economia italiana
tutta.
Storicamente,
siamo ormai passati da un semplice mondo bipolare, Est-Ovest,
Triade-Cina/India, Nord-Sud, Ricchi-Poveri, ad un mondo multipolare
dove non si parla più di macro-aree trainanti, ma di innumerevoli
nuovi poli ed il meridione d'Italia é alfiere imprescindibile dello
sviluppo italiano nell'area mediterranea. Il Mare
nostrum sta riprendendo, pian piano,
quel ruolo importante perso secoli addietro; il dialogo coi paesi del
bacino mediterraneo riprende e l'Italia, utilizzando il Sud come
proprio privilegiato ambasciatore, che di Oriente se ne intende, non
può' permettersi di perdere l'ennesima occasione. Pena il collasso
economico di una nazione, tutta, che certo non può' competere con le
locomotive dell'Unione europea.
Il Sud,
insegna Patruno, c'è ed é più vivo che mai, il fuoco c'è e brucia
più ardente che mai, ed é una fiamma pronta ad illuminare le terre
al di là del Mediterraneo, fiamma pronta a riprendersi quel ruolo
nel Mediterraneo, funzione che anni addietro aveva permesso al
borbonico Regno delle Due Sicilie di far parte delle maggiori potenze
europee nel diciannovesimo secolo.
Ecco, credo,
la personale, o meglio collettiva, battaglia di Patruno: combattere i
pregiudizi che vogliono un Sud piagnone e basta, di un Meridione
votato allo scacco perenne avente abitanti avvezzi alla filosofia del
si salvi chi può' e tanto peggio per gli altri. L'autore lotta
contro il pregiudizio che vuole uno spirito meridionale impigliato in
legacci culturali borbonici, aggettivo anche questo utilizzato nella
sua accezione peggiorativa, se non storicamente falsa.
Patruno,
da fine divulgatore e archeologo/giornalista, introduce il lettore
nel teatrino dei pregiudizi anti-meridionali, strappando poi quello
che Pirandello ( premio Nobel e peso massimo della letteratura
mondiale, italiano si', ma, permettetemi, anche e soprattutto
siciliano), nel suo Mattia Pascal, definiva il cielo di carta, ovvero
quel cosmo ben fatto di illusioni, convinzioni che, alla fine, ci
permettono di vivere in pace con noi stessi, rassicurati dal nostro
essere stati messi da parte, facendo di necessità virtù, tanto non
cambia niente, accontentandoci cosi' di un posticino al sole, quando
potremmo utilizzare un pannello fotovoltaico su grande scala per
produrre energia e, si sa, l'energia é sempre rivoluzionaria. E
sempre per citare Pirandello e il suo Uno,
nessuno e centomila, dovremmo imparare,
come il protagonista Moscarda, a guardarci il naso!
Ho citato
Pirandello, permettemi a riguardo un piccolo volo pindarico che ci
porta alla notizia, apparsa e non apparsa sui principali mezzi di
comunicazione, della soppressione dai programmi di Letteratura del
Ministero della Pubblica Istruzione, di una nutrita schiera di
scrittori meridionali, di autori del calibro di Gesualdo Bufalino,
Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Domenico Rea, Salvatore Quasimodo,
Matilde Serao, Anna Maria Ortese, ad opera di una commissione di
studio voluta dall'ex ministro Gelmini, bresciana.
Va
bene, qualche taglio in letteratura ci può' anche stare, ma quali
sono i criteri utilizzati da questa commissione? Non dimentichiamo
che l'impulso "all'invenzione"
della letteratura italiana fu dato da quel genio di Federico II che
scelse il nostro meridione come sua reggia...
Questo taglio
alla memoria culturale italiana, del Sud in particolare, Patruno mi
insegna, é solo uno tanti piccoli soprusi che qualcuno perpetra a
danno del Sud senza che nessuno faccia niente. Tanto non cambia
niente...di necessità, virtù.
Dicevo,
Pirandello, il siciliano parla dello strappare quel cielo di carta
che ha imprigionato le coscienze di noi meridionali in una sorta di
gattopardismo viscerale: il Sud é il Sud, ed é Sud perché é il
Sud...perché provarci? Tanto non cambia niente. Tanto vale
accontentarci del sole e del mare, almeno questo non possono
togliercelo.
Ma togliere
cosa? Può' uno Stato togliere ai cittadini, invece di dare? E cosa
ci ha tolto? Qualcosa che, evidentemente, avevamo ed ora non abbiamo
più!
Bene fa,
Patruno, a ricordare come quel processo storico che va sotto il nome
di Risorgimento sia stato condotto. Per essere brevi, fu una guerra
di conquista ad opera dei piemontesi, stato meno italiano d'Italia,
ai danni di uno Stato, quello delle Due Sicilie, che era stato sempre
neutrale e nel quale, tuttavia, proprio male non ci si stava.
Scontato? Non proprio, se mi affido alla maggior parte dei manuali di
storia.
L'altro
giorno, ascoltavo una conferenza tenutasi al Senato, credo risalente
al 2011, anno in cui si é festeggiato il 150esimo anniversario
dell'Unità italiana. L'impressione che ho avuto, ascoltando gli
interventi di quei relatori, é stata quella che quei dottori
parlavano della situazione attuale del Sud, ben nota a noi
meridionali, senza porsi domande di ordine storico che, secondo me,
sono premessa alla risoluzione dei problemi. Quella che é mancata,
fino a qualche anno fa, é stata l'archeologia della questione
meridionale, o meglio, c'è stata, sarebbe folle non citare i nostri
Gramsci, Salvemini ecc., ma non é stata abbastanza fatta propria dal
meridionale o dal settentrionale medio. Forse volutamente o forse
tramite tecniche di distrazione di massa. Questa lacuna é stata
finalmente colmata dall'imponente lavoro storiografico, accompagnato
(finalmente!) da un sapiente marketing meridionale, cominciato coi
lavori di Giordano Bruno Guerri, Pino Aprile e con sostanziale
contributo dato dal qui presente Patruno che da anni difende il Sud.
E per
effetto valanga, si é ritrovato un orgoglio meridionale che poi si é
tradotto nella miriade di movimenti politici e non che Patruno
definisce il "Fuoco del Sud". Movimenti troppo spesso
bollati come espressione folkloristica di un revisionismo storico o
di un negazionismo fatto a ritmo di tarantella. Quelli sono
neo-borbonici, quelli sono antistorici, quelli, come diceva un
docente dell'Università di Napoli nel convegno di cui ho parlato un
momento fa, sono buoni per la sagra di paese o per le iniziative
della Pro Loco, come se le sagre di paese e le iniziative della Pro
Loco, espressione viva del territorio, fossero da marchiare a priori
come "fesserie".
Come se lo storico, il giornalista, non avesse diritto di dare
dignità storica, ben intenso, dopo un attento vaglio di tipo
scientifico, anche al folklore e a ciò' che é fino a quel momento
era inteso come "fesseria".
Anzi, la grande rivoluzione nel fare storia, alla quale nel ventesimo
secolo diede un vigoroso contributo il francese Marc Bloch con la
nozione di "memoria collettiva",
é quella della fesseria,
o meglio del dettaglio, della storiella, assurto a fatto storico
capace di spiegare fatti storici già acquisiti e già reputati
degni. Un
po' come Manzoni aveva fatto con la
storiella dei Promessi Sposi.
Non si
può, e non si deve, liquidare la storia dell'unificazione (se di
unificazione possiamo parlare) con "quel
che é fatto, é fatto" oppure con
"ormai sono passati tanti anni".
"La storia é questa e non si
cambia". Criterio, per fare
storia, profondamente antistorico e antiscientifico. E' come se
dicessi: "che mi importa di Giulio
Cesare, ormai é morto e poi quello che ha fatto, ha fatto".
E buonanotte.
Di
certo, nessuno vuole prendere una sega e tagliare l'Italia, come, se
non erro, diceva Raffaele Nigro, in un suo testo del 1986, "Colpo
di Lega", ma unire, unificare,
vuol dire fare i conti col proprio passato. Sarebbe impossibile e
sicuramente folkloristico, aggettivo inteso nella peggior accezione,
come quindi folkloristiche sono alcune uscite della Lega Nord, oggi,
nel 2014, chiedere la restituzione di tutto quello che fu sottratto
al Banco di Napoli e poi utilizzato per colmare il deficit del
neonato Stato italiano, Banco di Napoli quindi Banca del Sud,
distrutta...infatti ricordiamo, brevemente, che al momento
dell'Unificazione italiana, fu proibito alle banche meridionali di
aprire sportelli al nord, o, dicevo, sarebbe impossibile chiedere la
riapertura di quelle eccellenze industriali come Le Officine di
Pietrarsa, Napoli, prima fabbrica italiana di locomotive,
rotaie e materiale rotabile, nate nel 1840 su iniziativa di
Ferdinando II di Borbone, ma vuol dire sradicare dalle nostre
coscienze una stato ( per riprendere Kant, mi chiedo se sia da
imputare solo a noi stessi) di minorità endemica presente nel
meridionale.
Siamo,
certo, italiani. Nel diciannovesimo secolo, il contesto storico, e a
dire il vero anche le grandi potenze come la Francia e soprattutto
l'Inghilterra, spingevano verso l'unificazione nazionale...ma siamo
italiani come lo sono i lombardi o i piemontesi ovvero attori di
primo piano della politica nazionale italiana e non "terruncelli"
o cafoni ai quali basta, per essere contenti, una ballata di Taranta
o un tuffo nell'acqua cristallina del Salento o della Calabria.
Questo, é una marcia in più, ma non possiamo e non dobbiamo ridurre
l'essere meridionale a un italiano di serie B. Svogliato, evasore,
criminale per natura, come propugnavano le vergognose teorie di
Cesare Lombroso, al quale il comune di Torino ha dedicato un ancora
più vergognoso museo. Siamo italiani di serie A e come tali abbiamo
gli stessi diritti e gli stessi doveri. Stesso dovere di sentirci,
stato quel che é stato, appartenenti allo Stato Italiano, e ma anche
richiedenti eguali diritti come quelli ad uno sviluppo reale e non
figli delle promesse di questa o quella manovra economica che, come
ben spiega Patruno, sanno tanto di presa in giro nei confronti di
questi italiani un po' sempliciotti coi quali basta fare "ammuina".
Credo che
questa nuova riscoperta dell'orgoglio meridionale più che dividere
un'Italia che, ripeto, c'è e tanto meglio che ci sia, la unisce. E
la unisce perché finalmente potremo dirci suoi figli legittimi.
Ma, per
essere figli legittimi, c'è soprattutto bisogno di genitori disposti
a riconoscerli, questi figli. E, mi chiedo, oggi, nel 2014, come
posso riconoscermi figlio di uno Stato italiano che riduce, e i
pendolari lo sanno bene, le tratte ferroviarie tra Nord e Sud, che
riduce all'osso i treni tra Roma e il Sud, che, sempre nel 2014, non
ha ancora creato una linea ferroviaria diretta tra Bari e Napoli,
come posso credere nella volontà di sviluppo del mio meridione da
parte del mio Stato italiano se le infrastrutture non ci sono, se la
Salerno-Reggio Calabria é quello che é e che conosciamo, come posso
riconoscermi figlio di uno Stato che appoggia, col sorprendente
silenzio dei politici nostrani, questo federalismo che, come svela
Patruno, potrebbe essere la pietra tombale al nostro sviluppo? Come
posso tollerare la vista, ricordo un viaggio lunghissimo in bus tra
Bari e Cosenza, di paesini in Basilicata e Calabria, che sembrano
rimasti a quel "Cristo si é
fermato a Eboli" di Carlo Levi?
Come posso
accettare che il mio genitore privilegi una parte, da sempre
privilegiata, come il Nord, dimenticando la questione meridionale e
creando e strombazzando la neonata questione settentrionale con tanto
di supporto mediatico.
E i politici
di casa nostra che fanno?
L'autore
ha il pregio di aver contribuito al risvegliare le nostre coscienze
meridionali. Il Sud deve chiedere, anzi, deve imparare a chiedere,
non contributi straordinari o finanziamenti a pioggia che a lungo
andare impoveriscono menti e coscienze, sorta di contentino per
lagnarsi un po' di meno, tanto fino alla fine si parte comunque verso
il Nord. Il Sud deve orgogliosamente rivendicare gli strumenti del
mestiere, se questi ci sono stati sottratti un secolo e mezzo fa
interessa ormai poco, il Sud deve rivendicare i capitali umani e
finanziari per uno sviluppo made in Sud,
coscienti della nostra diversità, della nostra storia particolare
come tutte le storie...poco interessa sapere chi sia più bravo, se
lo sia il polentone o il terrone, non si tratta di una partita di
calcio, ma si tratta della partita riguardante una reale unificazione
italiana che oggi non si può più rimandare.
L'Italia é
un'occasione per il nostro Sud, e il Sud un'occasione per l'Italia, a
patto che almeno una reale occasione al Sud sia data.
Per
concludere, voglio personalmente ringraziare Patruno per l'iniezione
di orgoglio e di ragionato ottimismo che ha dato a me, emigrante
meridionale, uomo in fuga dal suo passato e dal suo presente che ora
ha voglia di tornare perché se é vero che da qui se ne vanno tutti,
é anche vero che qui un giorno ritorneremo tutti.
Quindi,
per citare un fondamentale testo di Patruno:
"Alla riscossa terroni"!
Marco Caccavo
Molfetta,
2014
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