Ciao
Marco,
Ti
scrivo in merito alla richiesta di proposte per Terra di Sud III
edizione. Sai personalmente sono rimasto molto affascinato dalle
edizioni precedenti e ti ringrazio per aver avuto il coraggio di
offrire questa opportunità alla gente della nostra piccola
Giovinazzo...Dopo aver appreso i temi delle due edizioni precedenti
mi sembrerebbe quasi necessario (dopo il confronto Uomo-Spazio) il
tema Uomo-Tempo.
Ti
riporto qui il passo del libro che per caso avevo sotto mano e che
secondo me si intona con l’armonia del tuo precedente lavoro:
“[…]Il
tempo è la limitazione dell’essere finito o è la relazione
dell’essere finito con Dio? Relazione che non assicurerebbe
tuttavia all’essere un’infinità opposta alla finitezza, ne’
un’auto-sufficienza opposta al bisogno, ma che, al di là della
soddisfazione, significherebbe il sovrappiù della socialità. Questo
modo di interrogare il tempo ci sembra costituirne, ancora oggi, il
problema vivente. Le temp et l’Autre
intravede il tempo non come l’orizzonte ontologico dell’essere
dell’essente, ma come il modo dell’al di là dell’essere, come
relazione del pensiero con l’Altro e –attraverso diverse figure
della socialità posta di fronte al volto dell’altro uomo:
erotismo, paternità, responsabilità per il prossimo- come relazione
con il Tutt’Altro, con il Trascendente, con l’Infinito. Relazione
o religione che non è strutturata in termini di sapere, cioè di
intenzionalità. Quest’ultima implica la rappresentazione e
riconduce l’altro alla presenza e alla com-presenza. Il tempo, al
contrario, significherebbe, nella sua dia-cronia, una relazione che
non compromette l’alterità dell’altro, pur assicurando la sua
non-indifferenza al pensiero.
Come
modalità dell’essere finito, il tempo dovrebbe significare,
infatti, la dispersione dell’essere dell’essente in momenti che
si escludono reciprocamente e che, anzi […] si espellono, ognuno,
nel passato, fuori della propria presenza, fornendo tuttavia l’idea
folgorante di questa presenza, di cui suggerirebbero così e il senso
e il non-senso, la morte e la vita. Ma allora, l’eternità –di
cui […]l’intelletto pretenderebbe di possedere l’idea a priori,
l’idea di un modo di essere in cui il molteplice è uno e che
conferirebbe al presente il senso pieno- non è forse sempre sospetta
di non fare altro che dissimulare la folgorazione –la mezza
verità- dell’istante, ritenzionata in un’immagine che vuol far
credere di essere intemporale e che è capace di illudersi sulla
possibilità di riunificare ciò che non è riunificabile? Questa
eternità e questo Dio intellettuale non sarebbero forse, in fin dei
conti, il risultato della composizione di questi mezzi istanti
astratti e incostanti prodotti dalla dispersione temporale, cioè
un’eternità e un Dio morto? La tesi principale intravista in Le
Temps et L’Autre consiste, al contrario,
nel pensare il tempo non come una degradazione dell’eternità, ma
come relazione con ciò che, di per sé inassimilabile, assolutamente
altro, non si lascerebbe assimilare dall’esperienza, o con ciò
che, di per sé infinito, non si lascerebbe com-prendere […].
Il
tempo significa questo sempre della non coincidenza, ma anche questo
sempre della relazione […] filo più tenue di una linea ideale e
che la diacronia non recide; essa lo preserva nel paradosso di una
relazione, differente da tutte le altre relazioni della nostra logica
e della nostra psicologia, le quali, a titolo di comunanza ultima,
conferiscono, come minimo, la sincronia ai loro termini. Qui,
relazione senza termini, attesa senza atteso, aspirazione
insaziabile. Distanza che è anche prossimità –la quale non è una
coincidenza o un’unione fallita, ma significa tutto il sovrappiù
o tutto il bene di una socialità originaria.[…] Tutte le
descrizioni di questa distanza-prossimità possono essere d’altronde
solo approssimative o metaforiche, poiché la diacronia del tempo, ne
è e il senso non figurato, il senso proprio, e il modello. Il
movimento del tempo inteso come trascendenza all’infinito del
tutt’Altro, non si temporalizza in maniera lineare, non ha il
carattere rettilineo del raggio intenzionale. Il suo modo di
significare, segnato dal mistero della morte, devia nel momento in
cui entra nell’avventura etica della relazione con l’altro uomo.
[…]
L’alterità umana non è pensata a partire dall’alterità
puramente formale e logica mediante la quale si distinguono gli uni
dagli altri i termini di ogni sorta di molteplicità (dove ciascuno
di essi è altro già in quanto portatore di attributi differenti o,
in una molteplicità di termini uguali, ciascuno di essi è l’altro
dell’altro a causa della sua individuazione). La nozione di
alterità trascendente –quella che dischiude il tempo- è
ricercata innanzitutto a partire da un’alterità-contenuto, a
partire dalla femminilità. La femminilità –e bisognerebbe vedere
in che senso questa stessa cosa può dirsi della mascolinità o della
virilità, cioè della differenza dei sessi in generale- ci è
apparsa come una differenza che va al di là delle differenze, non
soltanto come una qualità differente da tutte le altre, ma come la
qualità , appunto della differenza. Idea che dovrebbe render
possibile la nozione della coppia nella sua distinzione rispetto ad
ogni sorta di dualità puramente numerica, la nozione di socialità a
due, che è probabilmente necessaria all’eccezionale epifania del
volto –nudità astratta e casta- che si distacca dalle differenze
sessuali, ma che è essenziale all’erotismo, ed in cui l’alterità
–intesa ancora una volta come qualità, e non come distinzione
semplicemente logica- è sostenuta dal non uccidere che il silenzio
stesso del volto dice. Significative irradiazione etica all’interno
dell’erotismo e della libido, mediante i quali l’umanità entra
nella società a due e la sostiene, autorizzando, forse, a mettere
per lo meno in discussione il semplicismo del pan-erotismo
contemporaneo. Vorremmo sottolineare infine una struttura della
trascendenza che in Le Temps et l’Autre
è stata colta a partire dalla paternità: la possibilità offerta al
figlio, posta al di là di ciò che può essere assunto dal padre,
resta ancora sua in un certo senso. Proprio nel senso del legame di
filiazione. Sua –o non indifferente- una possibilità che un altro
assume: mediante il figlio una possibilità al di là del possibile!
Ciò che, a partire dalla nozione –non biologica- della fecondità
dell’Io, mette in discussione l’idea stessa del potere, com’è
incarnata nella soggettività trascendentale, centro e sorgente di
atti intenzionali.” (dalla prefazione del libro “Il Tempo e
L’Altro”, E.Levinas, traduzione e cura di Francesco Paolo
Ciglia).
Ciao e buon lavoro!
Potete inviare le vostre proposte all'indirizzo mail marcocav82@hotmail.com o inviando un messaggio di posta privata al profilo Facebook Terra di Sud o Marco Caccavo.
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