Ospite di Blag! é
Enrico Mastropierro, fotografo che ha partecipato alla II Edizione di
Terra di Sud, al quale abbiamo posto alcune domande circa il suo fare
fotografia.

Un decalogo per
immagini del mondo a venire?
Se definissi la
fotografia di Mastropierro “ecologica”, tratterei i suoi scatti
come un'icona alla quale tendere per costruire il mondo di domani.
Ma, se lui stesso
ne parla in termini di “capacità euristica non troppo lontana
da quella del sogno o del lapsus -essendo-
verità particolari, verità dell’inconscio e tali rimangono”,
potremmo intendere il suo fotografare come un ricordare
, un riappropriarsi
del sogno che, da sempre, la censura freudiana spinge verso l'oblio.
Cosa é fare fotografia per Enrico
Mastropierro?
Rispondere alla domanda che cos’è la
fotografia è un po’ come rispondere alla domanda che cos’è la
filosofia e francamente penso sia una domanda cui si possa rispondere
in “tarda età”. Penso però si possano individuare una serie di
pratiche, di gesti, di flussi estetici che permettano di riconoscere
“il fatto fotografico”.
Qual é il valore dell’onirico e
del surreale come percezione del reale?

In questo periodo sono molto affascinato dalla sobrietà e dalla semplicità delle foto di Luigi Ghirri. Anche se spesso mi si fa notare che alcune mie foto potrebbero ricordare il modo di raccontare il paesaggio proprio degli impressionisti. Certo non nascondo una certa diffidenza nei confronti di una grammatica che in un certo senso è già “troppo storica”.
Una rappresentazione dello spazio che
sembra essere idilliaca può facilmente far pensare a un tentativo
migliorativo della rappresentazione dello spazio, oppure ad un
tentativo conciliatore di una sovrabbondanza di segni in conflitto,
ma quando scatto non parto con quell’idea.
Probabilmente il pittorialismo
riferisce di una sorta di pigrizia della rappresentazione e non mi
entusiasma granché. Dico questo non perché pensi alla pittura come
una forma degradata o degradante della rappresentazione; però
condivido l’opinione secondo la quale la fotografia non abbia
bisogno di fare il verso a un’altra forma artistica. Al tempo
stesso non si può ignorare come le altre forme di espressione
possano indicare delle vie di fuga, dei processi trasformativi
interni alla grammatica della disciplina in questione. Personalmente
ho difficoltà ad immaginare la fotografia senza la pittura, il
cinema, la letteratura, l’architettura o la musica: di solito
quando scatto ho sempre un disco che mi suona in testa. Al momento
questo modo di fare fotografia mi permette una forma di
rielaborazione delle tensioni interne; un ruolo decisivo è dato
dall’essere cresciuto con una grande e continua disponibilità di
immagini classiche e della modernità. Provo a spiegarmi: mi piace
pensare alla fotografia come fosse una moltiplicazione dello spazio,
una rottura tra lo spazio interno e quello esterno. Così elaboro
elementi del vissuto personale in una proiezione verso lo spazio
esterno: non si tratta di uno spazio fisico, né di una riproduzione
della realtà.

Il surrealismo parlava di una dimensione della rappresentazione della realtà suppletiva, quasi più reale della realtà stessa, dando una valenza sovradimensionata e idealista al gesto artistico. La fotografia può avere, ha una valenza e una sua capacità euristica non troppo lontana da quella del sogno o del lapsus: sono verità particolari, verità dell’inconscio e tali rimangono. Credo che la loro potenza non vada oltre questa soglia della rappresentazione, perché il “vero” mondo è un altro. Questo non deve esimerci dalla valutazione che la motilità dell'inconscio sia latrice ed espressione di una serie di forze politiche che contribuiscono a forgiarla. L’immagine può comunicare un’opacità, una zona d’ombra, uno spazio nel quale la nostra critica dell’attualità non può venir meno. Quelle zone d’ombra del pittorialismo non vogliono essere una forma di ripiegamento su stessa della rappresentazione, quanto un tentativo di lasciar fluire delle vie di fuga.

Vorrei poter fare fotografie diverse,
ma al momento non mi riesce.
La tua é una natura sognante e deformata dal ritocco fotografico...
Un po’ la post-produzione porta con
sé un rapporto problematico con la realtà, un tentativo di trovare
una sorta di locazione che eccede l’identità fisica del posto: a
me non interessa descrivere questa o quella contrada. Inoltre la post
produzione ha una sua dinamica: è un intervento che avviene
solitamente dopo un po’ di tempo rispetto allo scatto. Questo lasso
di tempo dà un valore “prospettico” all’immagine, dà
ulteriori tracce interpretative a chi vede la fotografia.
Marco Caccavo
Per chi volesse conoscere meglio Enrico:
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